Si torna a casa …

Rientrare da Boston significava potermi godere un pò di sole e finalmente il mio splendido mare, quello che, con tutta la buona volontà, non ritrovai nel gelido Oceano di Rockport.

Ero felice di ritornare a riabbracciare i miei, la mia dolce metà, i miei amici. Eppure non fu semplice rifare i bagagli.

Infatti (e non è da me) cominciai a sistemare tutto soltanto poche ore prima dell’arrivo del taxi che mi avrebbe accompagnata al Boston Logan International Airport. Per scaricare la tensione iniziai a fare pulizie in camera mia (premetto che in camera c’era solo una specie di letto, pochi scaffali e un tavolinetto), giravo e rigiravo per casa, non che fosse un castello ma era come se non volessi lasciarla … continuavo ad accertarmi di non aver dimenticato niente in giro, volevo ancora sentire quello scricchiolìo del pavimento in legno  che i primi giorni mi fece davvero temere di sprofondare al piano di sotto.

Avrei sentito la mancanza di quella famiglia nata in quei mesi, dei libri di storia e filosofia ricoperti di polvere che mi facevano starnutire quando li sfogliavo per leggere un pò durante la sera, la finestra dalla quale mi affacciavo sorseggiando un caffè, della sotterranea e rumorosa laudry che restrinse gran parte dei miei vestiti, avrei potuto regalarli ad una bimba di 3 anni! Avrei sentito la mancanza di quella mia nuova quotidianità. Tornare a casa e ritrovare la comodità di poter utilizzare lo stendino sarebbe stato superfluo, visto che per tre mesi ne avevo costruito uno tutto mio, in quella minuscola camera (dovete sapere che a Boston non ci sono balconi), un labirinto di fili che partivano da un capo all’altro della stanza. E poi mi sarebbero mancati gli assaggi di alcune pietanze serbe con cui la mia coinquilina mi deliziava, i 40 gradi in cucina quando, nel mese di luglio e alle 11 di sera, decideva di cucinare qualcosa in forno. E ancora, le risate, le uscite tutti insieme, i momenti di caxxeggio, le domeniche trascorse a riposarci distesi sul prato, tra una chiacchierata multilingue e una pennichella. Avrei provato nostalgia per le giornate trascorse con Chiara tra turismo, shopping, gite fuori porta e della nostra New York.

Arrivò il taxi, era giunta l’ora di salutare la mia casetta. Quella mattina la mia coinquilina, che normalmente si recava in laboratorio prestissimo, decise di andare più tardi e per me fu una grande dimostrazione d’affetto. Non servivano parole. Strinsi lei e il mio coinquilino fra le mie braccia come fossimo amici da una vita … eravamo di più, eravamo una famiglia! Lo ammetto, uscì anche la lacrimuccia 😉

Goodbye, guys! See you soon in Italy!

Il tassista era un ragazzone di Haiti con un sorriso davvero contagioso, mi vide giù e mi chiese che musica mi piacesse. Per tutto il tragitto mi fece ascoltare musica caraibica per la quale vado matta. Mi chiese un sacco di cose sull’Italia, io rispondevo meccanicamente, la mia mente era altrove. Pensavo al fatto che una volta rientrata avrei dovuto ricominciare a programmare una nuova parte di vita … ok, ma cosa?

Il ritorno fu, come dire, piuttosto disorientante. Cominciando già dall’aeroporto di Boston.

Piccola ma utile parentesi: evitate di abbellire il vosto bagaglio con oggetti apparentemente contundenti per distinguerlo da possibili “sosia”. In questi casi, sempre meglio ricorrere agli antichi metodi, ovvero al nastro adesivo colorato! Questa piccola leggerezza mi costò ore di ansia in aeroporto oltre ad offrirmi l’occasione di assistere ad una vera e propria scena da film di cui, chiaramente, ne ero protagonista. Tuttavia il mio self control fu davvero ammirevole e anche il mio American English, perfetto! Tutto risolto!

Trascorsi tante ore in aeroporto. I controlli richiedono tempo, ti spogli e ti rivesti 1000 volte, impari a memoria ciò che indossano gli altri, metti e rimetti le scarpe (nel frattempo i tuoi calzini da bianchi sono diventati grigi e ti fa anche un pò schifo infilarli nelle scarpe!), body scan, domande. E poi devi munirti di un vassoio per poggiare la borsa portapc, uno per il pc, uno per la cintura, uno per poggiarvi su orologio e accessori vari, uno per il giubotto. Le tue mani però non si moltiplicano, sono sempre due!

Il momento del controllo del bagaglio a mano, poi, è esilarante.

Step 1:  i poliziotti rivestono le proprie mani con guanti in lattice rigogosamente azzurri

Step 2: aprono il bagaglio con cautela e ne esaminano il contenuto con lampada a raggi x (o qualcosa simile) e assumono obbligatoriamente un atteggiamento sospettoso nei confronti del viaggiatore, anzi mantenere uno sguardo duro e incaxxato è ancora meglio!

Step 3: ma sì, svuotiamolo stò bagaglio a mano, facciamo vedere a tutti quelli in coda cosa c’è dentro! A quel paese la privacy!

Superata questa fase noiosissima mi recai al gate … davanti a me una distesa infinita di sedili ma la sorpresa più interessante fu scoprire la presenza di alcune poltrone reclinabili in stile psicoterapia, erano le più gettonate. E anch’io non fui da meno, dopotutto rimanevano due lunghissime ore alla partenza e riposare mi sarebbe servito a non pensare. Credo che la parola fine non sia mai una parola gradevole, specie quando si applica a qualcosa che ti ha resa felice, non importa per quanto tempo.

Volevo portarmi Boston anche addosso, non solo nel cuore e nella mente, così non potevo fare acquisto più azzeccato per salutare definitivamente questa splendida città.

IMG_1719Giungo in Sicilia con in circolo emozioni contrastanti che inizialmente non riuscii a gestire. Avevo cambiato idea su tante cose, su tanti aspetti della vita. Le persone con cui avevo condiviso pensieri trovandomi sempre pienamente d’accordo, mi apparivano diverse, quasi come se avessimo vissuto distanti anni luce. Mi son sentita dire spesso “no Ro, sei tu che da quando sei tornata sei strana”.

E’ vero, partire ci cambia, e aggiungo anche tanto! Per questo, forse, diventa ancora più difficile ritornare. Di colpo ci si sente fuori luogo in un luogo fisico e umano in cui si è cresciuti, quel luogo che ci ha sempre protetti e fatto sentire sicuri.

Far comprendere agli altri che non si è strani ma semplicemente si è rivalutato il modo di vedere certe cose, non sempre è un passaggio immediato. La maggior parte delle volte vorranno sapere cosa hai visto, cosa ti è piaciuto di più mangiare, se ti sei divertita, come ti sei trovata. Per carità, domande giustissime e perfettamente in tema. Ma riconoscere ed accettare il tuo cambiamento richiede già uno sforzo e un’apertura maggiore, e non tutti sono disposti e/o pronti a fare questo passo verso di te.

Cosa fare in questi casi? Investire sul proprio cambiamento e non lasciarsi travolgere dal giudizio degli altri che hanno deciso di fare quello che hanno sempre fatto e, di conseguenza, arriveranno sempre dove sono già arrivati.

 

 

Una risposta a “Si torna a casa …”

  1. Ciao Rossella, mi chiamo Anna e sono una studentessa di scienze politiche e a gennaio partirà alla volta di Boston per lo stesso tirocinio che hai fatto te al consolato. Ho appena finito di leggere tutte le tue riflessioni, consigli ecc su quest’esperienza e quest’immensa città che al solo pensiero mi spaventa.
    Ti ringrazio, questo tuo blog mi ha aiutata tantissimo e ora la parte di me “impaurita” si è lasciata sopraffare dall’emozione, entusiasmo e curiosità. Spero di trovarmi bene almeno la metà di quanto ti sia trovata bene te.
    Anna

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